Non me ne importa un fico secco: è un modo di dire tipico del linguaggio comune. In certi dialetti si dice “non me ne incarico”, che, all’apparenza, sembrerebbe voler dire “non me ne faccio carico, non me ne curo”. In realtà, però, è esattamente come dire “non me ne importa un fico secco” ma in modo più dotto: quel verbo, infatti, “incaricarsene”, deriva da carica, che in latino significa proprio “fico secco”. I conti tornano, dunque.
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Docente è semplicemente chi insegna (doceo). Maestro deriva da magister, la cui base è magis, “più”, quindi il maestro è “chi ne sa di più”, in ogni caso. Professore è chi fa delle conoscenze dottrinarie, che sono i rudimenti di altre professioni, la sua professione. In altre parole il professore è chi fa pubblica dichiarazione (profiteor, ma si potrebbe anche dire pubblico e retribuito “sfoggio”) di una conoscenza che costituisce il bagaglio fondamentale di ogni attività lavorativa che si svolge sulla base di un titolo di studio, la professione, pur non esercitandola direttamente, in molti casi. Insomma, professore è chi prepara alla professione. Fermo restando che sia il maestro che il professore sono docenti, la differenza tra i due si pone in termini per così dire temperamentali, o di autorevolezza. Il maestro è sempre una guida, il professore è più che altro un cultore della sua materia. Il professore può anche essere un maestro, ma il maestro può anche non comportarsi da professore.
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Il lavoro, ogni lavoro, è sempre un’attività che si svolge al servizio del pubblico. Nella società lavorativa si distinguono da sempre tre tipi di attività: la professione, l’arte e il mestiere. La professione è un lavoro che si fa sulla base di un titolo di studio conseguito, cioè, in effetti, potendo “dichiarare” (profiteri) un documento abilitante dello Stato; l’arte e il mestiere, al contrario, non richiedono un titolo di studio, ma una frequentazione dei luoghi e degli strumenti di lavoro, e quindi una acquisita dimestichezza con essi (il mestiere), oppure una capacità naturale, affinata e fortificata dall’esempio di chi quello stesso lavoro lo fa già da tempo (l’arte).
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Un corso di lingua straniera dovrebbe essere articolato in tre volumi dedicati rispettivamente: agli esercizi lessicali (tavole di vocaboli e rubriche di nomenclatura); agli esercizi proposizionali (composizione di frasi semplici); agli esercizi sintattici (composizione di testi complessi).
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Nel Maestro di Vigevano di Elio Petri, come qualcuno ricorderà, venivano considerati alla stregua di aforismi di Gabriele D’Annunzio anche una sua definizione, “Orbo veggente”, un suo slogan, “I biscotti italiani sono migliori dei migliori inglesi”, e un titulus apothecae da lui pensato, il nome dei primi grandi magazzini italiani, La Rinascente.
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La materia chimica si può dividere in due branche: la chimica stechiologica o degli elementi (quella meglio nota come “inorganica”), e la chimica ergasteriologica o dei procedimenti di laboratorio (manualisticamente detta “organica”).
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Uno dei più classici esempi di pseudo-etimologia è il far derivare la parola “curiosità” da cur, perché; l’etimologia accettata è quella che vede piuttosto nella parola cura l’origine di “curiosità”, e poi, diciamocelo, una curiosità, in quanto nozione, non risponde ad un perché (risponde invece al perché se è una predisposizione ad interessarsi all’essenza delle cose, ma è un tipo di curiosità che non prendiamo in considerazione qui).
Non sembra, infatti, però anche la curiosità è una nozione. Lo è nel senso che si tratta pur sempre di una conoscenza basata su un dato preciso, che si regge sulle domande chi/cosa?, dove?, quando? o quanto? Rispetto alla nozione più “seria”, però, la differenza è che il suo contenuto in genere è molto più leggero, ameno, e in sostanza secondario. Lo svantaggio è che un bagaglio di conoscenze fatto soprattutto di curiosità non viene mai preso troppo sul serio, come se non fosse della migliore qualità, e spesso viene bollato come erudizione d’accatto; il vantaggio, invece, è che, tra tutte le nozioni, la curiosità è certamente quella che, per la sua particolare natura, si apprende e si memorizza meglio.
In che cosa consiste il contenuto ameno della curiosità? Una curiosità può essere sostanzialmente una nozione aneddotica o una nozione-gioco. Nel primo caso si tratta, essenzialmente, di un aneddoto, quindi di un tratto particolare (spesso un retroscena divertente) della vita o dell’opera di un grande protagonista della storia. Sono esempi di curiosità-aneddoto nozioni come “Caligola non sapeva nuotare”, “Augusto amava il formaggio vaccino”, “Leopardi era goloso di gelati” ecc. Nel secondo caso si tratta invece di una conoscenza aliena da ogni campo di studio accademico o tecnico o professionale: si tratta, dunque, della conoscenza di luoghi, nomi e cifre del cosiddetto “mondo della ricreazione” (fumetti, cartoons, telefilm, film, videogames, figurine, sport eccetera). Questa conoscenza (se si vuole, anche, questa cultura) simula in tutto e per tutto la conoscenza cosiddetta seria, costituita dalle materie convenzionalmente accettate come formative. La differenza tra le due, però, sta nel canale e nella modalità di apprendimento: lo studio, che è indispensabile nella conoscenza che chiamiamo formativa, mentre è praticamente inesistente nella conoscenza ricreativa.
Uno dei pilastri concettuali della nostra società è l’antitesi tra studio e lavoro: sembrerebbe che lo studio sia una lunga fase preparatoria al lavoro, eppure lo studio è già di per se stesso lavoro, quindi applicazione, sacrificio, dedizione,concentrazione mentale. Lo studio non è in opposizione al lavoro, anzi lo ingloba (chi sceglie di studiare anziché buttarsi direttamente nel lavoro in realtà sceglie di fare qualcosa che poi continuerà, in forme diverse, nel lavoro); la verità è che, esattamente come il lavoro, lo studio è in antitesi solo al gioco e allo svago. Ci si può approcciare con animo giocoso al proprio studio o al proprio lavoro (specialmente quando un lavoro diventa la vocazione della propria vita) ma né l’uno né l’altro sono un gioco. Apprendere attraverso lo studio, dunque, da qualunque punto di vista lo si guardi, significa semplicemente lavorare. La buona notizia (se così si può dire) è però questa: l’apprendimento non deriva solo dallo studio, ma anche dalla sua antitesi, lo svago (e quindi il gioco). E la conoscenza prodotta dall’esercizio dello svago (che può essere metodico proprio come lo studio, ma con una disposizione d’animo completamente diversa) è proprio quella che chiamiamo curiosità. -
Gli aforismi si possono dividere essenzialmente in quattro categorie:
-sentenziosi o gnomici;
-nozionistici;
-definitori;
-stechiologici.
Sentenziose sono le massime che riguardano la sfera della riflessione morale o sull’essenza della natura umano e sociale, in una parola quelle di carattere filosofico; nozionistiche quelle che contengono un dato conoscitivo (o meglio, di constatazione conoscitiva, es. Palmae non utiles sunt stomacho di Plinio); definitorie quelle che esprimono la formulazione di una definizione; stechiologiche quelle che tentano un abbozzo di ripartizione in categorie di una data materia. Il post aforistico presente appartiene a quest’ultimo tipo.