Un giorno dopo Napoleone, ma molto oltre le idi di marzo, si spense a Roma, dov’era nato, cresciuto e si era affermato politicamente, il secondo divo Giulio mai apparso sotto il cielo della capitale. Collaboratore strettissimo di De Gasperi fino quasi a esserne considerato il delfino, all’apparenza si sarebbe detto che non fu mai giovane, eppure con la sua capacità di resistere e di sopravvivere, grazie a una placida forza e a una prudenza congenita, si mantenne per cinquant’anni un sempreverde. 
Uomo imperscrutabile quanto devoto alla Chiesa, dotato di un’ironia spiazzante, impermeabile alle critiche e alla satira, anche ferocissima, che accompagnò la sua lunga vita di potere, si indignò solo in età tarda per un film biografico che rievocava a tinte fosche la sua condotta di statista. Egli era ormai da tempo fuori dal giro che conta; la conclusione senza strascichi delle sue vicende giudiziarie non era servita a riabilitarne pienamente l’immagine pubblica, e oltretutto aveva visto sfumare l’ultima occasione che gli era rimasta per coronare in modo degno una carriera parlamentare già ampiamente storicizzata, e cioè l’elezione a presidente del Senato. Eppure il ritratto che si faceva di lui in quel film, peraltro piuttosto apprezzato, sembrava riflettere un livore invincibile da parte dell’opinione pubblica, rimasta pervicacemente prigioniera di un immaginario demonizzante per merito, o per colpa, del quale il vecchio politico continuava a restare al centro della scena.       

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