La famosa formula di Lavoisier “nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”, benché non enunciata in campo filosofico-esistenziale ma in materia di reazioni chimiche, lascia comunque intendere il senso di una natura soggetta ad un cambiamento continuo nella sua realtà. Un cambiamento , in cui il prodotto di ciò che è in formazione e di ciò che è in disfacimento non è più ritrovabile negli elementi iniziali dell’uno e dell’altro. Ora, concepire una natura la cui realtà di oggi non ha nulla di simile a quella di ieri e nulla di paragonabile a quella di domani, può indurre a uno sgomento esistenziale profondo. Uno sgomento che produrrebbe una presa di coscienza totalizzante dell’inferiorità universale umana, di fronte al tempo e alla vastità della materia. E quindi lo smarrimento di tutti i significati, i propositi, e le speranze della vita associata. Bisogna quindi postulare una continuità di tempo nell’esistenza umana, e ammettere nella realtà l’insorgere di evoluzioni, più che di trasformazioni.
Sembra di ritrovarci di fronte al divario tra la concezione storica di Machiavelli e quella di Guicciardini. L’uno vedeva la storia come un’”immutata evoluzione”, cioè un processo in cui possono anche cambiare le consuetudini e i costumi di vita degli uomini, ma non mai le loro necessità fondamentali e i loro sentimenti. L’altro considerava il corso storico un “cambiamento sostanziale”, in cui niente è mai uguale a sé stesso, ma è in movimento continuo, inarrestabile, incontrollabile.