Fabrizio d’Arabia

Un racconto semistorico


Lo sceicco  Abdel Tariq Noussar ascoltava con somma attenzione, e potremmo dire con religiosa ammirazione, il racconto di uno dei dotti alla sua corte, Ibrahim Khader. Il suo consigliere e braccio destro.
<<Eccellenza, sentii raccontare questa storia quando andai in Europa, in quella terra che chiamano Epiro. Dicono che un antico re di quella gente che la abita, Pirro, andò a portar guerra in Italia contro i Romani. Ufficialmente doveva dare aiuto ai Tarentini, greci della penisola, ma la sua intenzione segreta era quella di crearsi un regno lì. Orbene, quando un console romano, Fabrizio, fu mandato presso quel re per avviare una trattativa, Pirro pensò bene di terrorizzarlo un po’ ponendolo faccia a faccia con quel gigantesco animale che i Romani temevano tanto. Un elefante, sì. Pirro preparò le cose in modo che, ad un determinato momento, la proboscide dell’elefante facesse capolino dentro la tenda. Ma Fabrizio che, probabilmente, si aspettava, una mossa del genere, dopo un iniziale, visibile  sgomento si fece forza e mantenne un’ammirevole impassibilità. Persino il re epirota, alla fine, non poté fare a meno di lodarlo, seppure in cuor suo>>.
Lo sceicco era deluso: in realtà si accingeva ad ascoltare chissà quale illuminante parabola. <>
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Silenzio. <>
<>, replicò lo sceicco.
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Lo sceicco tornò a farsi incuriosito. <>
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Lo sceicco pensò qualche istante, poi sorrise. <>
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Circa nove giorni dopo quel colloquio, arrivò nella terra dello sceicco l’atteso cliente. Nessuno poté mai capire per quale alchimia  Noussar fosse riuscito ad entrare in affari con un venditore di pellicce siberiano, Nagly Okulojy, un uomo molto ricco nella sua terra, e proprio per questo acquirente ambito dallo sceicco.
Okuloj era arrivato da Noussar con una slitta fabbricata nella sua terra, e trainata da animali dal pelo grigio, simili ai lupi: essi, però, disabituati al caldo dei deserti dell’Arabia, finirono con lo stramazzare all’improvviso, sicché un beduino che si trovava a venirgli incontro dovette prestargli due cammelli. Appena arrivò al cospetto dello sceicco, questi lo salutò con deferenza e gli chiese, per rompere il ghiaccio: <>. Si riferiva, naturalmente, ai cammelli.
Okulojy  aveva sentito parlare, e assai bene, delle proprietà riscaldanti del caffè, e si era messo in testa di commerciarlo anche nel suo Paese. Non aveva capito granché bene come prepararlo, in realtà, ma poco importava: che lo avesse acquistato da Noussar o dal suo rivale, il principe del Khorasan, Ali Abdel Hassi, avrebbe comunque avuto a sua disposizione un consulente per la macinazione e la bollitura del caffè, disposto – dietro pagamento – a farsi un lungo soggiorno nel freddissimo Nord Europa.
<>, disse l’ospite. <> 
Per un attimo Noussar e il suo consigliere Ibrahim si guardarono negli occhi. <>
<> E si asciugò il collo con un fazzoletto di fortuna.
Ibrahim ebbe un’illuminazione strana negli occhi. <>
In quella entrò lei, Leyla. La nerissima, elegantissima pantera dello sceicco dal carattere mansueto. Ma che, nei giorni precedenti l’avvento di Okulojy, com’era stato pianificato dall’astuto Ibrahim,  era stata addestrata a fingere ferocia. Per renderla ancora più spaventevole le era stato applicato un collare tempestato di punte acuminate.
Allah, forse, tifava per gli affari di Noussar. Voleva provare ancora una volta una sensazione di paura, Okulojy, di vera paura. Be’, eccolo servito.
Che attrice, quella Leyla. Eccola apparire, i baffoni arcigni, come una tigre o un leone pronti ad avventarsi sulla preda. Zampe anteriori pronte al decollo, fauci spalancate. Conosceva le tigri siberiane, Okulojy, ma felini neri, così neri, probabilmente sicuramente non ne aveva mai viste. Si fece terreo in volto, il povero Okulojy, sentì che il cuore gli stava scappando dal petto, eppure il suo corpo si era fatto una statua. Si volse disperato a guardare lo sceicco.
Questi si lisciava il baffetto, sotto la keffiah. <>
Okulojy non se lo fece ripetere due volte. <>
Gli accordi a suo tempo stabiliti volevano che chi dei due concorrenti, lo sceicco o il principe,  fosse riuscito ad aggiudicare la sua fornitura, sarebbe stato pagato con tre sacchi d’oro.
La pantera ringhiò. Oulojy ebbe il suo caffè, e lo trangugiò letteralmente.  <>
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Okulojy gettò tre sacchi d’oro ai piedi dello sceicco. Vide che la pantera non faceva alcuna mossa.
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Noussar comandò che un inserviente raccogliesse l’oro del compratore, non prima di avergli rivolto un deferente inchino.
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L’inserviente che aveva raccolto l’oro porse all’ospite il primo sacco di caffè. Leyla scappò a zampe levate, aveva recitato benissimo il copione concepito da Ibrahim. Che si era già ritirato nelle sue stanze, gongolante per la sua gioia.
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Così si congedò Okulojy. Per l’ennesima volta lo sceicco, grazie al suo impareggiabile consigliere, aveva soffiato un ricco affare al principe suo rivale. E così continuò ad accadere, per molti e molti anni ancora. 

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