
È fuor di dubbio che ormai quanto all’origine del colosso di Barletta ci sono due piste: la pista costantinopolitana e quella ravennate. La prima è la più conforme alla tradizione, che vuole la statua trasportata in Occidente dai veneziani dopo il sacco di Costantinopoli del 1204 e abbandonata sulla spiaggia di Barletta. La seconda è frutto di più recenti studi, e metterebbe in collegamento la presenza della statua nella città pugliese con alcuni scavi proto-archeologici messi in atto da Federico II di Svevia a Ravenna, ultima capitale dell’impero romano d’Occidente e poi capitale dell’esarcato bizantino. Perché poi sia stata collocata proprio a Barletta e non in un altro punto della Puglia o del Mezzogiorno questo non è dato saperlo (Federico II, grande meridionalista, cercò di garantire un tesoro praticamente a tutte le città del suo regno, ma questo risponde solo blandamente alla nostra domanda; chi invece è convinto della provenienza della statua da Costantinopoli ha già una spiegazione). Bizantino è la parola-chiave per quanto riguarda il colosso, visto che di statua bizantina si tratterebbe o per l’identificazione del personaggio (uno degli imperatori della dinastia teodosiana) o per la fattura stessa della statua (se si dà per buona, naturalmente, la pista costantinopolitana, ma nulla esclude, comunque, che un maestro bizantino abbia potuto operare a Ravenna).
Per quanto riguarda la fattura, l’unica notizia che abbiamo riguardo a un possibile autore ci è data da un gesuita napoletano del ‘600, Paolo Grimaldi: nella sua Vita di San Ruggiero parla della statua barlettana, accettando la pista costantinopolitana, e fa il nome di Polifobo, <<un Greco eccellente nell’arte>>. Grimaldi aggiunge che il suo nome si poteva leggere in un epigramma di undici distici composto al tempo in cui (più precisamente nel 1491) la statua fu spostata dalla piazza della Dogana allo spazio antistante la basilica del Santo Sepolcro, dove si trova tuttora.
Riguardo al problema dell’identità del personaggio rappresentato, poi, l’approccio basato su una valutazione commomatica (cioè relativa all’abbigliamento) non è così profano. La presenza di una robusta loricatura (cioè di una corazzatura), di pteryges (il gonnellino di strisce di cuoio) e di un paludamentum (il mantello del dux; il globus e anche il diadema invece non sono elementi per forza determinanti) dovrebbe far escludere quasi del tutto la credenza più radicata nella tradizione popolare (vedasi nuovamente Grimaldi), quella secondo cui la statua raffigura Eraclio che però, data l’epoca in cui visse, dovrebbe essere già legato a un’iconografia bizantina di tipo più medievale (c’è la presenza della croce, o meglio della Vera Croce, che si vorrebbe legata a Eraclio in quanto fu l’imperatore che la sottrasse ai Sassanidi e la restituì ai cristiani, ma in sé e per sé la croce può anche essere un attributo di qualsiasi imperatore romano cristiano) Gli imperatori della dinastia teodosiana, invece, almeno quelli effettivamente già proposti dagli studiosi (parliamo di Arcadio, Teodosio II, Marciano, Leone I), possono essere tutti ugualmente presi in considerazione, se non altro perché le linee iconografiche di riferimento della dinastia (come la monetazione di Teodosio I e il dittico in avorio di Onorio) sono assolutamente vicine ai profili figurativi della classicità romana. Per gli stessi motivi sarebbero accettabili anche le ipotesi che vogliono il colosso raffigurare Valentiniano I od Onorio o Valentiniano III, imperatori romani a tutti gli effetti, se non si cadesse però in contraddizione con la tesi principale, e cioè che la statua è quella di un imperatore bizantino. La pista ravennate vuole che la statua sia un omaggio a Teodosio II, commissionato da Valentiniano III.
Intanto dalla valutazione commomatica siamo già passati a una valutazione prosopografica: di fatto c’è da dire che, per quanto riguarda Teodosio I e i successori della sua famiglia, in Occidente e in Oriente, i tratti fondamentali dell’espressione sono sostanzialmente ricalcati sulla facies costantiniana (quella della severitas victoris sine turbatione) della statua colossale in bronzo dedicata al primo imperatore cristiano e fondatore di Costantinopoli (non tanto di quella in marmo, olympica species, conservata come l’altra ai Musei capitolini a Roma). E poi c’è un ritratto scultoreo di Costantino conservato a San Giovanni in Laterano (e replicato per il sagrato di San Lorenzo a Milano) che mostra praticamente la stessa posa del colosso di Barletta (cambia solo l’espressione del volto, più modellata su una facies claudiana, olympica laevitas). In effetti dal novero dei candidabili come soggetti rappresentati non si dovrebbero escludere neppure gli stessi Teodosio I e Costantino I: in quanto capostipiti di dinastia, è più che plausibile che la loro imago fosse, a livello statuario, figura honoranda (o adorationis) molto più diffusa di quella dei loro successori, che potevano in ogni caso contare su un’abbondante rappresentazione in campo numismatico. A unire poi, idealmente ma non solo, Costantino e Teodosio c’era la politica filo-cristiana, e dunque costantinizzare Teodosio (ma anche i successori) poteva rispondere a un preciso programma propagandistico-figurativo. Per i motivi iconografici ricordati sopra non è azzardato ipotizzare che nelle città dell’impero, anche quelle orientali, ci fossero più statue dedicate a Costantino e a Teodosio che, per esempio, a Costante o ad Arcadio: e che venissero anche replicate in più versioni (succedeva spesso, nella scultura antica, anzi era una regola di bottega). Il colosso di Barletta potrebbe essere semplicemente una di queste versioni replicate, un Costantino vero e proprio oppure un Teodosio costantinizzato o magari – altra variazione sul tema – un discendente di Teodosio costantinizzato. Se la statua viene effettivamente da Costantinopoli le quotazioni dell’opzione-Costantino si impennano, visto e considerato che, come abbiamo visto, non erano infrequenti i ritratti colossali di quell’imperatore. Restano due domande ancora più insolubili: perché la statua si trova proprio a Barletta (l’antica Barduli o Bardulum) e chi era Polifobo.