L’Armata Brancaleone è un’anabasi (genere letterario nel genere letterario) in un Medioevo di miserabili. Se la storia antica e la classicità negli anni ’60 erano materia da kolossal, Brancaleone dimostra che i secoli bui, con la loro barbarica promiscuità, la loro rude, primitiva e a volte triviale asperità erano piuttosto roba degna di un poema eroicomico.
Il tema ricorrente del cinema monicelliano, la banda di amici senza arte né parte o irrecuperabili nella loro condizione di vinti dalla vita (si vedano anche I soliti ignoti e Amici miei), si innesta qui in una narrazione da romanzo cavalleresco ma senza gloria. Protagonista è un avventuriero, Brancaleone, di oscure origini: aspira a diventare cavaliere ed è la parodia del capitano di ventura. È a lui, ardimentoso senza la tempra del temerario e scavezzacollo timorato del pericolo, che spetta attraversare, a capo di una piccola congrega di raccogliticci, i quattro momenti che riepilogano il Medioevo.
C’è in realtà un’incursione barbarica che precede e chiama la sua comparsa in scena. La traversata di Brancaleone vera e propria inizia dalla tenzone con un cadetto bizantino, rappresentante di un potere politico-militare prezioso, raffinato ma impotente di fronte all’egemonia germanica dei tempi e sempre più confinato in una gabbia di arcani intrighi.
Poi si viene a contatto con la peste (o almeno col suo spettro), la seconda causa di spopolamento dell’epoca dopo le scorrerie germaniche. Brancaleone la affronta nella cittadina-fantasma che conquista senza colpo ferire, arroccata in cima a un’altura.
Quindi ecco l’incontro con la brigata di penitenti, guidata da un predicatore errante e incamminata verso la Terra Santa. E infine, arrivati al mare (momento culminante anche nell’Anabasi che è prototipo di tutte le anabasi), l’apparizione della flotta dei Saraceni (gli incursori che facevano concorrenza ai Germani): una tribù araba con cui presto si finì per indicare tutti gli arabi. È già tempo di crociate, e di scollinare verso il basso Medioevo.
