
Il primo afroamericano alla guida degli Stati Uniti diventò presidente il 4 novembre 2008, ad un’età quasi kennediana. Riconfermato nel 2012, visse una sorta di autunno della sua popolarità mondiale, che invece era stata fortissima nei primi quattro anni della sua era presidenziale. Eppure i due tempi della sua amministrazione furono ugualmente significativi: nel corso del primo mandato, infatti, si ebbe la grande riforma del sistema sanitario, l’Obamacare, votata nel 2010, che garantiva l’assicurazione medica gratuita a tutti i cittadini; poi nel 2011 ci fu il raid di Abbottabad, in Pakistan, che consentì l’uccisione di Osama bin Laden.
Del secondo mandato, invece, bisogna ricordare l’accordo sul nucleare con l’Iran del 2015, promessa per una decisiva distensione col paese degli ayatollah, e, sempre nel 2015, la firma con altri 196 paesi dell’accordo di Parigi sul clima, impegno per una riduzione globale dei gas serra. Ma, a parte queste luci, gli anni dal 2012 al 2016 furono tutt’altro che esaltanti per Obama, che proprio a metà mandato non poté più contare sulla maggioranza in Parlamento mentre, all’interno degli Stati Uniti, lo scontro interazziale tornava sorprendentemente a incrudelirsi. Sul piano internazionale, poi, l’espansione dell’Isis, che non seppe contrastare, praticamente lo obbligò a rimangiarsi la promessa di portare a termine il disimpegno militare americano in Iraq. Non molto più incisiva fu la presenza Usa in Siria, al fianco dei ribelli anti-Assad, e in Libia, divenuta una polveriera dopo la caduta di Gheddafi. Lasciò un’America tutt’altro che pacificata sul piano sociale e non più sicura rispetto ai tempi al suo succesore deisgnato, quella Hillary Clinton che egli stesso aveva battuto alle primarie democratiche e che sembrava già destinata a perdere.