Due uomini di bronzo in posizione stante e atteggiamento fiero, gonfio il petto nell’uniforme, che danno le spalle ad un pilone bianco solenne come un obelisco. Questo è il ritratto di due monumenti: quello a Luigi Razza a Vibo Valentia e quello a Francesco Baracca a Lugo di Romagna. Sono quasi coetanei: il monumento calabrese è opera di Fortunato Longo, un artista di origine reggina, ed è datato 1938; la statua lughese, invece, risale al 1936 ed è stata realizzata da uno scultore faentino, Domenico Rambelli. La statua vibonese ebbe l’onore di essere inaugurata dal Duce in persona, nel corso di una visita, rimasta agli annali, in quella città che per suo stesso impulso da Monteleone mutò nome in Vibo Valentia, in omaggio ai fasti classici. Per la statua di Baracca, invece, si scomodarono “solo” alcuni dei più importanti gerarchi. Probabilmente contò la statura dei personaggi in rapporto al regime: Luigi Razza fu un fascista della prima ora, e ministro dei Lavori pubblici per i primi otto mesi del 1935. Francesco Baracca, invece, fu un eroe della prima guerra mondiale che il fascismo non l’aveva mai conosciuto. Poteva essere assunto (e in effetti lo fu) nel pantheon delle figure eroiche pre-fasciste o dei modelli ante litteram del perfetto campione di virtusfascista, ma con le fortune di Mussolini e della sua avventura dittatoriale non ebbe a che fare. Era un conterraneo del Duce, questo sì, ma significava poco o niente.
Così, ad un eroe che contribuisce alla formazione della coscienza fascista si può ben dedicare, anche in linea con la sua identità biografica (Baracca era un asso dell’aviazione), un bel monumento dalla solennità aerodinamica, ma non priva di rimandi a quel simbolismo che piace al Duce. Ragion per cui il piedistallo, simile a un grosso cippo per la verità, su cui è issata la statua di Francesco Baracca ricorda un fascio littorio come lo vedrebbe Botero, mentre a far ombra al simulacro, doveroso omaggio alle prodezze che valgono a Baracca un posto nella storia, ecco possente l’ala di un aereo, talmente stilizzata da sembrare una fusoliera.
Per un eroe organico al fascismo come Luigi Razza, invece, il tono classicista è ancora più alto, ancora più aulico. La statua del vibonese, con il suo piedistallo, poggia su un grosso blocco di marmo ornato da un bassorilievo degno dell’Ara Pacis. Sicché il basamento della scultura è un vero e proprio altare, di cui il pilastro che protegge le bronzee terga del ministro fascista non è che il prolungamento verticale. E la Vittoria alata che, dalla cima d esso, sembra vegliare sulla memoria di Razza, riconduce l’intera struttura a quella più tipica dei monumenti ai Caduti.