Nell’età giulio-claudia la difesa dei confini dell’Impero romano era garantita anche e soprattutto dall’attiva cooperazione degli stati clienti (piccoli staterelli indipendenti o semi-indipendenti retti da sovrani alleati o vassalli di Roma). A partire dall’età flavia, invece, dato l’assorbimento progressivo degli stati clienti, si assistette ad un’altrettanto progressiva opera di fortificazione delle frontiere. Rimanevano però gli stati cuscinetto, vere e proprie zone neutre tra Roma e le potenze antagoniste (o i popoli che potevano costituire una minaccia di invasione). I sovrani degli stati cuscinetto non erano ostili ai Romani ma neppure alleati; naturalmente, però, ai Romani occorreva che essi si mantenessero terzi anche nei confronti dei nemici.
Si trattava comunque di due fasi di uno stesso metodo, la “difesa di sbarramento”: dalla barriera formata da stati clienti e/o cuscinetto si era passati alle linee di fortificazione dei confini e a guarnigioni stabili per la loro difesa. Dal III secolo in poi ci fu un superamento della “difesa di sbarramento” in direzione di una difesa non stanziale, declinata nelle forme della “difesa elastica” e della “difesa in profondità”. Il principio non era più quello di prevenire o contenere la penetrazione nemica, cosa ormai sempre più difficoltosa, ma di contrastarla efficacemente qualora fosse già in atto: nel primo caso per mezzo di truppe mobili, da campo, nel secondo con un sistema integrato di truppe mobili e di stazionamento, queste ultime acquartierate nelle roccheforti.
E quando parliamo di roccheforti spesso parliamo di veri e propri centri abitati con il loro hinterland, modificati per diventare avamposti autosufficienti di contrasto all’avanzata nemica, capaci anche di sostenere un lungo assedio (in pratica i progenitori di quelli che nel Medioevo diventeranno i castelli, nota del blogger).