Nel film di Florestano Vancini intitolato Il delitto Matteotti si vede che Mussolini, nel suo studio privato di Palazzo Venezia, ha una copia della Vittoria alata di Brescia. Era il 1924: di lì a pochi anni il regime fascista incoraggerà l’erezione – in tutte le città e borghi d’Italia – di monumenti per celebrare la memoria dei soldati morti nella prima guerra mondiale. E, incentivando in tal modo un arricchimento del patrimonio ornamentale di tutti i comuni del paese, Mussolini raccomandò senz’altro di non lesinare in simbolismo retorico. Che quella Vittoria – una rielaborazione romana di un originale greco, fatta in età imperiale – sia o meno un’aggiunta cinematografica, poco importa. Importa semmai poter apprezzare in Vancini – ammesso che quell’elemento di arredo sia stata una sua licenza artistica – un intento narrativo occulto. In un certo senso con quella presenza iconica il regista, in un colpo solo, riepiloga l’ascesa del fascismo al potere e ne riassume le linee del futuro consolidamento. Quella Vittoria rappresenta tanto la chiave principale del successo fascista – cioè l’aver offerto una sponda, non solo ideale, a tutti quei reduci che si sentivano minacciati dal disfattismo; un tema, questo, accennato anche nel prologo del film – quanto il motivo-cardine della propaganda su cui si fonderà il potere fascista. Ed è un dato di fatto che, di lì a poco, l’immagine della Vittoria farà bella mostra di sé in tante piazze d’Italia, coronamento o comprimaria in progetti scultorei di civica solennità.
Vediamo Vittorie dominare bianchi piedistalli in perfetta solitudine, o altre che, come si vede il più delle volte, incoronano eroi pronti al martirio o che hanno già trovato la gloria. Una variazione di questa seconda tipologia è il monumento ai Caduti di Alcamo, il comune del Trapanese che diede i natali a Ciullo, raffinato poeta della scuola di Federico II.
In questo monumento, infatti, la Vittoria non incorona il soldato, ma gli infila in testa l’elmo. E non si tratta di un elmetto a ciotola, tipico dei soldati della Grande guerra: è un elmo con cresta e paragnatidi più tipico dei guerrieri antichi, perché il soggetto rappresentato è, in effetti, un guerriero antico. Se non ricordasse il misterioso armigero di Capestrano, si potrebbe quasi dire che è ispirato al Leonida di Falireas (che però è posteriore alla seconda guerra mondiale). Lo scultore che, nel 1929, si mise all’opera sulla commessa degli emigrati alcamesi negli Stati Uniti, doveva essere certamente in linea col programma iper-classicista del regime di Mussolini. Lo si vede anche dal piedistallo, che non è un’ara – come nella maggior parte dei casi – ma un tempietto con colonnato cieco. Alla sua base c’è un altro motivo tipico: un’aquila il cui corpo – torso e volto – è inscritto entro un serto di vittoria, a formare un grande medaglione di bronzo.