San Paolo e la teoria della storia


Nella lettera ai Romani Paolo scrive che all’origine della storia c’è un divorzio tra Dio e gli uomini, che per la loro malvagità sono incapaci di vederlo. Egli dunque abbandona il resto di essi alla loro cecità e depravazione ed elegge un popolo, quello degli Ebrei, a suo prediletto; ad esso egli dà la sua rivelazione per mezzo della Legge, e la missione storica di custodire la promessa della venuta del Messia. Ma questa promessa conteneva in realtà anche quella della futura riconciliazione di Dio con tutti gli uomini, attraverso Gesù Cristo, la sua incarnazione agente, participio vivente in cui si congiungono natura divina e umana, incaricato di mostrare che Dio ha il potere di farsi a misura d’uomo e di provare in prima persona le sofferenze della vita umana, e che è dunque vicino all’uomo e alla sua esistenza terrena. Proprio per questo gli Ebrei non riconobbero il Messia in Cristo, perché credevano che fosse un inviato riservato esclusivamente a loro, che avrebbe dovuto perpetuare l’alleanza di Dio col loro popolo e rinnovarla per un altro lungo arco di secoli; e non restituire Dio a tutti gli altri uomini, non meritevoli, secondo la loro visione, perché privi della rivelazione divina resa tangibile dalla Legge. Ma nella nuova alleanza fondata da Dio con gli uomini grazie all’opera di Gesù ciò che conta non è l’osservanza della Legge, ma il dono della fede: chi ha fede, pur non essendo nato nella Legge, sarà comunque salvato. Nella lettera ai Colossesi l’apostolo ribadisce il concetto che chi nasce alla nuova alleanza con Dio attraverso il battesimo è sciolto dall’osservazione della legge di Mosè.

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