Trentatré quaderni. Tra essi, anche quattro maxiquaderni (uno fa parte del novero dei “quaderni speciali”) e un piccolo album da disegno (dove sviluppare un progetto per i figli, presto abortito).
Sono i supporti per scrittura che i carcerieri passavano ad Antonio Gramsci negli anni lunghi e bui della sua prigionia, eppure non infecondi di impegno intellettuale. Gramsci, con la sua scrittura ordinata ma piccolissima, non li riempì tutti a Turi, dietro le sbarre, quando ancora, tutto sommato, poteva reggersi in piedi: una buona parte di essi, al contrario, furono composti mentre trascorreva una penosa e travagliata degenza che lo costrinse a peregrinare da Civitavecchia a Formia fino a Roma, alla clinica Quisisana.
Patrimonio della fondazione Gramsci, i quaderni di tanto in tanto vanno “in tournée” per la gioia degli studiosi del politico e pensatore sardo, degli amanti della storia e, perché no, come nel nostro caso, degli appassionati dei pezzi museali di cartoleria. L’ultima loro uscita è stata a Montecitorio dal 27 aprile al 7 giugno del corrente anno. Insieme ai libri che furono forniti a Gramsci per approfondire i suoi studi, li abbiamo visti sistemati in teche di plexiglas nello spazio noto come “corridoio dei busti”, proprio di fronte alle erme di alcuni dei principali statisti italiani. In genere i busti sono trenta, disposti su entrambi i lati lunghi, ma per l’occasione è verosimile che un certo numero di essi sia stato spostato: ricordiamo comunque di aver ammirato quelli di Zanardelli, opera di Ettore Ximenes, di Giolitti, scolpito da Pietro Canonica e di De Pretis, il cui autore è Luigi Preatoni. In questo articolo non vogliamo certo occuparci del contenuto dei quaderni gramsciani – di sicuro non è il nostro compito, qui ed ora –, bensì farne una rapida fotografia in quanto pezzi di storia della cancelleria. Parliamo dunque di “quadernariato” o di “cartulariato”.
Nero. Non ci si può girare troppo attorno: per le copertine di quei fascicoletti destinati agli esercizi degli studenti o alle annotazioni dei contabili il nero, almeno fino agli anni ’40 del ‘900, è il colore dominante. Un’ulteriore prova di ciò è fornita proprio dai quaderni gramsciani. Ovviamente il povero Gramsci non aveva alcuna voce in capitolo su design e fantasia decorativa, ma doveva adattarsi a quello che il convento gli provvedeva. In fondo a lui interessava scrivere, e più ancora avere un sufficiente numero di pagine per organizzare i suoi quaderni come fossero veri e propri saggi. Però ci permettiamo di immaginare che il suo volto meditabondo potesse sciogliersi in un’espressione di lieta sorpresa allorché il carceriere, ogni tanto, variava un po’ – bontà sua – presentandogli un quaderno dall’aspetto diverso. Non ci dispiace vedere un sorrisetto di gioia pudica dietro i piccoli occhiali tondi del pensatore di Ales – quella gioia minimal-materialista derivata dal ricevere un oggetto nuovo, bello alla vista e all’uso da impiegare per le proprie passioni – quando poté maneggiare per la prima volta un quaderno con le volute nere su fondo marrone o uno con i reticoli marmorizzati, su fondo marrone o grigio o rosso. O uno con la copertina tutta rossa o tutta blu (ce ne sono). Ma i più belli di tutti sono i due col fronte della copertina illustrato: verosimilmente ci sembra facciano parte di una serie (forse una delle prime) dedicata alle meraviglie monumentali del mondo. Due vere e proprie metope cromolitografiche: una è la riproduzione di un tempio indiano su fondo verde, l’altra quella delle quattro statue di Abu Simbel su fondo marrone. Che avrà pensato, Gramsci, quando un secondino glieli porse, insieme al pasto della giornata o a un pacco di libri? E soprattutto, che cosa avrà ispirato quelli che lo rifornivano a scegliere proprio quei pezzi, in chissà quale circostanza? Misteri di una grande storia, di cui purtroppo non possiamo sapere più di quanto ci sia lecito fantasticare. Probabilmente un’allegrezza ancor maggiore Gramsci l’avrà provata alla vista dei maxiquaderni: ci vengono in mente le parole di Papini in una delle pagine più toccanti della sua autobiografia, Un uomo finito. Lui, sofferente per la penuria che c’era in casa sua di carta e strumenti per scrivere, riciclava ogni foglio bianco trovasse in giro e si sentiva realizzato quando, dal bottegaio, a poco prezzo, poteva comprare fogli dozzinali a quadroni grandi e lunghi, perché con una scrittura piccola e parsimoniosa “ci entrasse più roba” e la carta durasse di più. Ecco, anche Gramsci pensiamo che fosse felice di poter disporre di supporti di scrittura più grandi e spaziosi, tali da dargli la possibilità o l’impressione di scrivere più a lungo e più estesamente..
Se state cercando “Sei storie di quaderni”, dove c’è un racconto ispirato proprio dai quaderni di Gramsci, potete visitare questo link, http://www.mondadoristore.it/Sei-storie-di-quaderni-Gianluca-Vivacqua/eai978882282621/.