Il successo e l’insuccesso

Questo è anche il titolo di una vecchia raccolta di versi che avevo scritto nel 2006. Il presente articolo, però, non c’entra niente.  Vuole semmai cercare di delineare alcuni principi fondamentali che segnano la frontiera tra il successo e l’insuccesso. Non credo sia esatto dire che l’uno è l’opposto dell’altro, in realtà quando c’è l’uno manca l’altro, e viceversa.
Vorrei partire dalla famosa regola dell’80/20. Penso che il successo sia all’80% conformismo e al 20% capacità personali. Troppo pessimistico? Dipende, naturalmente, dal punto di vista con cui si intende il conformismo, se gli si attribuisce un significato positivo o un significato negativo. In fondo chi dice che il successo è essere soddisfatti per riuscire a fare ciò che ci si prefigge di fare (e averne anche coscienza) non dice tutto: perché il successo risponde prima di tutto a quell’intima esigenza dell’uomo che è l’approvazione. Non si ha gioia a saper fare una cosa se, alla fine, sei tu il solo a saperlo; la vera soddisfazione è che anche gli altri lo sappiano, e ti riconoscano la tua capacità. Quindi il successo è anche (e forse soprattutto) piacere agli altri, avere il gradimento del maggior numero di persone possibile. Per piacere agli altri, però, spesso bisogna scendere a compromessi con l’ambiente entro cui si opera e nel quale ci si vorrebbe affermare (e dal quale e per mezzo del quale, quindi, si vorrebbe avere approvazione e ammirazione). Ora, il problema è che un determinato ambiente può avere meccanismi, norme, protocolli adatti al temperamento e alla personalità di un certo tipo di persone, ma meno  adatti a quelli di altre. Può esserci, cioè, una situazione di incompatibilità tra ambiente e persona  che è nemica giurata del successo: la tragedia è che a volte la persona, pur avendo tutte le capacità per poter ben figurare in un dato ambiente, non riesce mai ad integrarvisi per sue particolarità caratteriali o non viene posta nella condizione di integrarsi (ad esempio quando c’è troppa competizione o troppa tendenza all’esclusività): e quando finisce per isolarsi o per essere isolata (scenario mortale, a dir poco) non le resta che cambiare aria. Finché non troverà il contesto congeniale al suo modo di esprimersi, di lavorare, di operare, di interagire, quella persona non potrà mai dire di aver trovato veramente il successo. Naturalmente, star bene in un ambiente non significa per forza essere in sintonia perfetta con tutte le persone che vi si trovano dentro: significa piuttosto trovare le condizioni per crearsi una solida rete di contatti  che assicurino sinergie, appoggio e ovviamente scorciatoie (non c’è niente di scandaloso in questo) per i propri obiettivi.

Appare chiaro che se ci si trova bene in un ambiente è anche naturale conformarsi ad esso: non si fa nessuna fatica ad accettarne le regole, anzi diventano parte di noi. E in un habitat ideale non è certo arduo trovare persone che sentiamo in sintonia, e con cui è piacevole collaborare e condividere progetti: dunque, potendo conformarci ad un ambiente in cui troviamo la nostra compatibilità, noi riusciamo a trovare anche gli strumenti sociali indispensabili per il successo. Ed è proprio questo il conformismo di cui parliamo: un conformismo alla base del quale c’è, appunto, la compatibilità. Le capacità personali sono, com’è evidente, la base per poter proporsi efficacemente in un ambiente, ma da sole non bastano: esse devono fare i conti con quanto margine di spazio e di respiro esse effettivamente troveranno, date le condizioni sociali dell’ambiente. 


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