La pegologia è lo studio delle fontane ornamentali.
Si distingue in elachipegolologia e megalopegologia. La prima branca riguarda le piccole fontane (zampilli, fontanelle, robinet). La seconda, invece, le grandi fontane che sono, in effetti, vere e proprie opere di scultura.
L’elachipegologia, dunque, studia tre tipi di fontane:
– – le fontane di tipo pompeiano. Sono quelle dove l’elemento gittante è posto al centro di una parete (detta medaglione o campana) direttamente comunicante con la vasca. In alcuni casi la parete può anche non esserci, visto che l’elemento gittante (un mascherone o un cannello) può essere fissato al muro di un edificio.
– – Gli zampilli o columelle. Sono le comunissime fontanelle in cui, in cima ad una corta colonna variamente modanata, si trova una conca dal cui centro si alza un piccolo getto d’acqua.
– – I robinet. Sono le fontanelle chiamate popolarmente nasoni, perché quasi in cima ad esse, ad un’altezza tale che il bevitore debba leggermente piegarsi, sporge, quasi fosse un naso, un rubinetto vero e proprio. Molte di queste fontanelle hanno la forma di un piccolo obelisco, sicché possono essere chiamate anche obelischi.
Inutile dire che, in questa categoria di fontane, la più antica è la pompeiana. Passando all’altra famiglia, invece, cioè quella della megalopegologia, c’è da dire che l’utilità delle grandi fontane è puramente ornativa.
Al contrario di zampilli e fontane pompeiane, infatti, una fontana con amorini e tritoni non serve per l’approvvigionamento idrico, ma, nella maggior parte dei casi, soltanto per dare un tono di spettacolarità artistica in più alla cornice di una piazza.
All’origine, però,il combinato di giochi d’acqua e opere di scultura era un discorso limitato alla committenza di tipo privato: negli spazi pubblici, infatti, servivano più che altro fontane a cui si potesse bere o attingere acqua. Sicché i primi tipi di fontana ornamentale “da piazza” sono visibili in realtà nei peristili delle case aristocratiche romane. Fuori da questi perimetri esclusivi, lo spettacolo dell’acqua abbinato a statue et similia cominciò ad essere veicolato dai ninfei, monumenti, di carattere quasi sacro, simili ad archi però chiusi, e abbelliti da nicchie con opere statuarie. La nicchia centrale, più grande delle altre, era detta nicchione e naturalmente aveva l’onore di ospitare la statua di dimensioni maggiori. Un grande ninfeo doveva essere il semi-mitico Septizodium dei tempi di Settimio Severo.
Proprio come le fontane pompeiane, anche i ninfei potevano essere addossati a pareti di edifici, e una vasca direttamente collegata alla base del monumento consentiva all’elemento gittante (che quasi mai era la statua, ma un elemento sporgente magari da un conchiglione ai suoi piedi) di riversare lì il suo flusso. La tipologia del ninfeo visse una propria evoluzione artistica, che ha prodotto, in età moderna, capolavori come la fontana di Trevi, le Quattro fontane e il fontanone dell’Acqua Paola a Roma, a Palermo le fontane dei Quattro Canti e, a Catanzaro, la bellissima cascata del Minatore.
A partire dal ‘500, intanto, con la riscoperta dell’arte greco-romana e dei grandi gruppi scultorei di età ellenistica, si iniziò a recuperare anche la lezione dei peristili, e a pensare come non fosse disdicevole che il flusso d’acqua (anzi, più flussi d’acqua insieme) uscisse direttamente dalle bocche o dalle membra di alcune statue. Ciò sarebbe servito a dare un senso di maggiore animazione alla scena scultorea, giacché quasi sempre di scena si trattava, essendo appunto un gruppo di statue tra loro collegate, E quasi sempre, per non dire sempre, quella scena era tratta dalla mitologia: si trattava, cioè, di una mitoplastia, termine con cui i Greci chiamavano la rappresentazione plastica di una scena mitica. E mitoplastia (o, se si vuole essere pignoli, idro-mitoplastia) è il termine con cui in pegologia si indicano tutte le grandi fontane ornamentali, siano esse fontane racchiuse da vasche o fontane che sono strutturalmente derivazioni di ninfei.
Propriamente, però, dovrebbero essere mitoplastie soltanto le fontane con gruppi scultorei a tema mitico interamente circondati da una vasca, e animati da getti d’acqua interni o, in alternativa, da zampilloni provenienti dal bordo della vasca stessa.
Accanto al ninfeo e alla mitoplastia si era già sviluppata, a partire dal Medioevo, un’altra tipologia di fontana pubblica: il puteus, la fontana caratterizzata da una vasca di tipo rigidamente circolare a imitazione del terminale di un pozzo. Dai chiostri dei monasteri, dove praticamente nasce, questo tipo di fontana conquistò rapidamente anche le piazze pubbliche, con risultati eccellenti come la Fontana Maggiore a Perugia o le tipiche fontane viterbesi.
Appartengono alla categoria delle fontane ornamentali anche quelle in cui, al centro di una vasca con dimensioni variabili, ci sia solo un getto d’acqua o più getti d’acqua di varia potenza. In alcuni casi almeno uno di essi sembra fuoriuscire da una specie di montagnella o vulcanetto, che tecnicamente chiamiamo neside (isolotto). In realtà, molto spesso, trattandosi di una tipica fontana da giardino pubblico, la vasca può anche non esserci per niente, e lo specchio d’acqua essere un vero e proprio stagno, oppure un perimetro all’altezza del suolo. In questo caso si dice che la vasca è una colimbetra (praticamente una piscina, dal greco).