Racconta il mito che Achille ottenne il dono dell’invincibilità dopo che la madre Teti, amorevolmente, lo immerse da bambino fino al tallone nelle acque dello Stige. Sul conto di Gastone Paperone, nipote di Paperon de’ Paperoni, non si conosce una storia simile: può darsi che sulla sua culla si sia adagiato, spinto da chissà quale vento, un quadrifoglio, e che dunque il piccolo Gastone abbia potuto annusarne il profumo assai prima di ricevere il primo giocattolo. Una cosa è sicura, però: pur avendo una fortuna che qualsiasi miliardario, celebrità o uomo di potere gli invidierebbe, Gastone non fa nulla per dimostrarlo in modo appariscente. Certo lo diverte – e ci mancherebbe altro – approfittare delle montagne di biglietti omaggio e di viaggi premio che lo inondano quotidianamente. Ma quando può, non esita a fare un fascio di tutta quella carta e a regalarla a qualche bisognoso; così da poter essere libero di coltivare la sua vera passione, stare a casa a guardare la tv o ad oziare: nonostante tutto, è pur sempre il cugino di Paperino. Gastone non ha ambizioni politiche, non vuole diventare famoso (almeno non più di quanto lo sia già), non vuole neppure ereditare l’impero dello zio. In realtà non sembra che abbia capacità o talenti particolari. Non ha neppure una fidanzata: potrebbe avere tutte le donne che vuole, certo, ma la “sua” Paperina non lo ricambia, se non saltuariamente. Quando si dice che la fortuna può arrivare dappertutto, ma è inefficace a conquistare anche l’amore. Se non fosse che è un re mida delle occasioni propizie di guadagno materiale, si direbbe in realtà che Gastone è un inetto peggio di Paperino (e almeno lui la buona volontà ce la mette). Quindi siamo di fronte alla solita dea della buona sorte che è cieca, o tutt’al più bendata? No, in realtà si sbaglia a dire che Gastone non ha talenti: il suo vero talento (ma anche il suo tormento) è proprio lei, la fortuna. Ed èdavvero così, in effetti: anche la fortuna è un’attitudine, e bisogna essere naturalmente portati a svilupparla. Con tutta probabilità chi ha talento per la fortuna è prima di tutto un ottimista genuino, o una persona che non si aspetta mai niente di particolare dalla vita, uno che vive con tranquillità senza pretendere niente: ed è per questo che sa godere anche della minima cosa positiva come se fosse una magnifica sorpresa. Ottimismo e spirito della sorpresa: chi ha talento per la fortuna ha prima di tutto talento per la felicità. E non è che sia una medaglia da ostentare, la felicità; è una condizione dello spirito che va goduta con sobrietà, in modo semplice, al riparo dalle invidie così come dalla tentazione di farne un modello. Quando abbiamo raggiunto Gastone al telefono per combinare quest’intervista, ci aspettavamo di dover prenotare un tavolo di ristorante o di sistemarci in una hall di albergo, con eventuale consumazione a nostro carico: con nostra grande sorpresa, invece, ci siamo sentiti invitare in modo molto cordiale nel soggiorno di casa sua (che funge anche da salotto come a casa di Paperino). E ci ha anche detto di essere felice di offrirci uno spuntino a base di aranciata Pap Soda e di patatine Nemica Chip, i “gioielli” dell’ultimo rifornimento alimentare vinto. Ah, un’altra cosa: Gastone è anche negato per i lavori domestici. Chiama quattro volte all’anno un disoccupato di Ocopoli (un suo vecchio compagno del liceo) che si presta a pulirgli la casa. Per i restanti undici mesi, è felice di vivere tra le montagne di elettrodomestici e di campioni gratuiti di food & beverage che gli si accumulano ad ogni ora. E così, dopo un’interminabile gimcana tra 32 schermi lcd nuovi di zecca e pacchi di biscotti per dieci ipermercati, eccocelo davanti a noi. Senza la classica giacca verde: per noi indossa una palandrana da camera azzurra. Mentre lo salutiamo inforca degli occhiali sportivi, con cui compulsa una lista di starlette ansiose di essere invitate a cena da lui.
Sig. Gastone, che piacere. Entriamo subito nel sodo: fortunati si nasce o si diventa?
Be’, non vorrei metterla troppo sul professorale, ma su questo argomento conservo una chiosa del professor de Paperis. Senta: “Bisogna fare la differenza tra fortunato e affortunato. Fortunato è chi è caro alla buona sorte per una particolarissima congiunzione degli astri al momento della sua nascita; affortunato è chi si è meritato il favore della dea bendata grazie all’augurio di chi gli vuole bene. Quindi la risposta è: secondo me fortunati si nasce ma ci si può anche diventare, se qualcuno desidera per te la fortuna talmente tanto. Però solo la fortuna nativa è quella che resiste alla prova del tempo: perché è l’unica che si ricollega a quello che possiamo chiamare genius Fortunae, che si manifesta per via ormonale…
Genius Fortunae? Ormoni?
Le spiego, andiamo per ordine. E naturalmente pure in questo caso devo premettere che queste nozioni sono anch’esse derivate da studi di de Paperis. Se la fortuna ti viene augurata da qualcuno, in qualsiasi momento della vita, la dea bendata te la elargisce: ma tu puoi solo goderne – vogliamo dire passivamente? – i frutti. Se invece, fin da quando si nasce, ci sono le condizioni celesti perché un individuo goda del suo dono, la dea bendata non solo ti dà la fortuna, ma ti rende anche una persona – nel mio caso un papero, naturalmente – capace di diventare una specie di esempio vivente della fortuna in terra: qualcuno, cioè, che ha la proprietà di godere dei suoi effetti ma che può anche essere un guru, un maestro spirituale del suo uso e delle vie per averla in proprio favore. Oltre che diventare un talismano vivente, uno cioè capace di portare fortuna anche agli altri: in una parola un genio della fortuna, un genius Fortunae appunto. Ma se la dea bendata individua in qualcuno un genius Fortunae, sulla base dei suoi requisiti astrali, allora non può limitarsi a fargli piovere la fortuna dal cielo, secondo un canale che potremmo definire provvidenziale: deve fare in modo che possa camminare con i suoi piedi, cioè che possa trovare dentro di sé le risorse per rinnovare ed alimentare la sua fortuna. E la fonte organica della fortuna nel genius Fortunae sta in un ormone, che in realtà è la modificazione del testosterone per l’uomo e del progesterone per la donna.
Gastosterone e gastogesterone?
Be’, lei vuol far di me un emblema universale della Fortuna? (Ride.) Comunque, se vuole definirli così,…
Ma, al di là degli ormoni, un fortunello (l’equivalente del genius Fortunae per i profani) ha anche una fonte esterna di fortuna? In altre parole, possiede un portafortuna?
La ringrazio di questa domanda perché mi dà la possibilità di spazzare il campo da un falso mito: io intorno a casa mia non coltivo nessun prato di quadrifogli. Li trovo e li ho sempre trovati casualmente al parco. Tuttavia conservo un quadrifoglio in argento che negli anni ’80 mi fu regalato da una tribù indigena dell’Africa, i Bonagura (con l’accento sulla u), per averli aiutati a ritrovare il loro idolo della buona sorte, un cammello di smeraldo, rubato dai predoni. E poi, sull’esempio di zio Paperone, conservo anche il primo biglietto di lotteria vincente, il primo buono-omaggio trovato in una scatola di biscotti… Cose così, insomma…
Ma in definitiva come vive un fortunato?
Mi lasci subito dire una cosa: è vero che il fortunato, teoricamente, può avere ciò che vuole, ma, perché questo accada davvero, è necessario che un fortunato sia anche un ambizioso. Invece quasi sempre l’ambizioso non è particolarmente fortunato, ma compensa la sua mancanza di fortuna con un inestinguibile desiderio di avere, che lo porta, prima o poi, ad arrivare dove vuole arrivare anche senza avere la buona sorte dalla sua parte. Al contrario, difficilmente un fortunato ambisce a grandi traguardi: per lui la fortuna è nient’altro che una condizione privilegiata che gli consente di vivere in modo più agevolato la vita quotidiana. Lo capisce, quello che coloro che ci invidiano chiamano il nostro dramma? Siamo coloro che potremmo chiedere il mondo in regalo, ma non sappiamo o non vogliamo chiederlo. Siamo come tanti poveri eredi di Aladino che, di fronte al genio pronto ad esaudire qualsiasi nostro desiderio, non riusciamo ad immaginare oltre l’ordinaria amministrazione. Eppure io penso che ci sia una logica in questo: secondo me la dea bendata non è davvero così bendata, perché quando concede il suo dono a chi poi lo userà con parsimonia di brame, ed esclusivamente per avere un’esistenza più comoda, al riparo dalle fatiche, ed un futuro di tutto riposo, non lo fa a caso. Vuole, in realtà, che la fortuna sia una felicità discreta, che non prevarichi il bene del mondo ma, al contrario, ne goda a piene mani. La fortuna vuole che i suoi pupilli restino persone comuni, tra le persone comuni. Certo nonostante questo noi fortunati siamo perseguitati dall’invidia, non lo si può negare; ma lo siamo come tutti coloro che abbiano una facoltà speciale di origine elettiva, che, proprio in quanto elettiva, non può essere per tutti, o alla portata di tutti. E poi, come sempre accade, gli invidiosi guardano soltanto al lato più facile, più vantaggioso; in realtà essere fortunati significa anche avere responsabilità sociali, perché abbiamo il dovere di dare agli altri una parte di ciò che ogni giorno, ogni ora, arricchisce i nostri possessi materiali: possessi che, naturalmente, non sono frutto del nostro lavoro (il vero fortunato non lavora mai, per definizione, né ha necessità di comprare alcunché, pur essendo sempre pieno di soldi), bensì ciò che ci siamo “meritati” per effetto del nostro essere naturalmente predisposti a farci calamite di occasioni di acquisizione. In teoria potremmo anche accontentarci di regalare una percentuale minima, simbolica di ciò che abbiamo; ma poi in pratica finiamo col regalare interi pacchi o serie di pacchi, spesso ancora imballati. Com’è che si dice? Al collezionista non si regala in stock, il fortunato invece è obbligato a ricevere in omaggio scorte a vita. Ma non è beneficenza, quella che facciamo: è più un’operazione di redistribuzione collettiva di quella felicità che la dea bendata ha dato solo ai suoi eletti. Che, proprio perché eletti, sono investiti del compito di completare l’opera della loro protettrice. E adesso, se permette, posso fargliela io una domanda?
Faccia pure, in effetti l’intervista è agli sgoccioli.
Accetterebbe una decina di questi tv lcd da 64 pollici? Guardi che ne ho altri 360, solo in cantina. Ecco la maledizione della fortuna che gli invidiosi si ostinano a non vedere. È un po’ come il supplizio di Re Mida, se ci pensa. Lo vede questo telefonino (mi fa vedere un modello fantasmagorico di smartphone 3d, ndr)? Ne ho altri tremila solo di questo modello, e ci ho messo tre mesi a silenziare la suoneria di tutti, per non stare sempre a parlare con corrieri e centralinisti vari. E che guerra, poi, con la consegna-pacchi: lei non ha idea di che tavolo di concertazione ho dovuto aprire con le ditte di trasporti, per ottenere che le consegne potessero concentrarsi tutte in un’unica fascia oraria e avvenire solo in due giorni alla settimana. Questo, però, non mi è bastato a recedere dalla decisione di silenziare il campanello: ormai i corrieri lo sanno, e scaricano direttamente in giardino, facendosi sentire il meno possibile. A me non resta che aprire la porta, dopo una certa ora, e prendere visione di quello che il mio “Babbo Natale” quotidiano mi ha portato, e in che misura. Si serva pure, la prego. E prenda anche qualcosa da mangiare: da portare a casa, e in quantità abbondanti.
Ma, mi perdoni, sig. Gastone: non ha paura dei ladri, con tutta quella bella roba che per ore resta incustodita in giardino?
Be’, cosa vuole che le dica? Ben vengano i ladri, se possono liberarmi oggi di qualcosa che riavrò triplicato domani.
Chiedete e vi sarà dato? Nella casa di un fortunato (magari alla sua soglia) questa regola vale, esattamente come il contrario: prendete e non vi sarà chiesto niente. Io, però, l’autorizzazione di Gastone per fare il mio “bottino” l’ho avuta. E così mi sono portato via un tv lcd, una scorta di crackers al peperoncino per sei mesi, una vasca idromassaggio, un lettore mp5 e un’auto da corsa Perrari Zampa Grossa. Mi dispiace non aver visto la soddisfazione completa negli occhi del padrone di casa, che avrebbe voluto darmi altri sette camion di roba: ma io sono già felice così, e forse sono già sulla buona strada verso la fortuna.