Invictus

Integrazione è la parola d’ordine del governo di Nelson Mandela (Morgan Freeman). Integrazione tra bianchi e neri, tra ancient e nouvel regime; integrazione anche nello sport, dove diventa fondamentale trasformare la nazionale simbolo della disciplina più amata dagli Afrikaneer, il rugby, nella squadra bandiera della nazione. Nella palla ovale Mandela capisce subito di poter trovare il collante di cui ha bisogno per edificare il Sudafrica che ha in mente, anche a costo di doversi disinteressare di questioni politiche più urgenti; e nella Coppa del Mondo di rugby del 1995, ospitata proprio nella terra dei Bafana Bafana, il percorso per costruire l’identità post-segregazionista del Paese. Così il film, lungi dall’essere la biografia del leader della lotta contro l’apartheid (le vidende personali del protagonista sono in realtà poco più che un antefatto nell’economia di esso), diventa la narrazione, non meno agiografica, di questo percorso, attraverso le fatiche fisiche, lo stress psico-motivazionale e la determinazione, che si fa via via una sempre più chiara consapevolezza di giocare e vincere per formare la coscienza di una patria, dei baldi alfieri in verdeoro, gli Springboks, capitanati da François Pienaar (Matt Damon). Per arrivare,
naturalmente, al trionfo del cuore, proprio contro gli antichi padroni segregazionisti. Trionfo sorretto dall’ispirazione, altra parola d’ordine del pensiero mandeliano: definibile come la capacità interiore di trarre forza vincente dalle parole di una poesia o di una canzone, meglio ancora se un inno, considerato per eccellenza il testo musicale fondativo di un’identità nazionale. Nel caso di Pienaar l’ispirazione giunge, e poi grazie a lui si trasmette ai suoi compagni, da quegli stessi versi che sostennero Mandela nei trent’anni di prigionia; versi da lui non letti, ma “rivelatigli” proprio dalla voce di “Madiba”, che gli appare, come in una visione-oracolo, nella sua vecchia cella a Robben Island, meta di un “pellegrinaggio” turistico della squadra.

Fin qui la faccia storico-politico-ideale: ma Invictus si fa apprezzare anche dal punto di vista strettamente agonistico. Il nuovo film di Clint Eastwood si può infatti tranquillamente includere nel filone cinematografico americano dedicato alla palla ovale, accanto a titoli come Quella sporca ultima meta od Ogni maledetta domenica; anche se nell’alta visione morale che Mandela ha della sfida sportiva – e non solo sportiva: in essa infatti entra in gioco anche la scommessa politica sul futuro suo e della sua leadership carismatica – c’è probabilmente più continuità di spirito con un’altra pagina epico-spettacolare di sport sul grande schermo, la partita di calcio in Fuga per la vittoria.


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