No line on the horizon


La prima impressione entrando nelle note di No line on the horizon, l’ultimo album degli U2, il XII della loro discografia, è che manchi l’hit che ti scalda il cuore al primo assaggio: sembra infatti che il carattere musicale di questo nuovo lavoro dei Fab Four di Dublino si presti ad un ascolto ripetuto più volte, in linea con gli altri dischi del sentiero sperimentale della band (Passengers, Pop), e nonostante ricalchi la struttura di fondo dei rock-portages della stagione più classica dei loro trionfi (c’è uno sfondo di riferimento, che è il Medioriente, com’era l’America dalle mille facce in The Unforgettable Fire, The Joshua Tree e Rattle and Hum). Non mancano le sonorità e le atmosfere tipiche del loro emozionante marchio di fabbrica, ma non ci si aspetti di trovare il brano sorprendente, fulminante, illuminante, come Pride, Beautiful day, Stay (far away so close), Stuck in a moment you can’t get out of, One o Vertigo; con tutto questo, però, va detto che in Magnificent, Moment of surrender e Unknown caller troviamo un Bono vocalmente molto ispirato. Cedars of Lebanon, poi, sembra una trasposizione nello scenario mediorientale del paesaggio dello Joshua Tree.


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