Al contrario di Mereghetti, non penso che I mostri oggi, pur con tutte le differenze con le due pellicole antecedenti del filone, perda quella forza amara che contraddistingueva gli episodi dei film con Tognazzi e Gassman mattatori assoluiti, in coppia o in assolo alternato. Buonista, ma con sorprese; alcune vicende, in effetti, rasentano il patetico, e questo soprattutto per merito dell’intensità tragicomica di un rinfrancato Giorgio Panariello: apprezzabile nella parte dell’investito che, in Malconcio, continua a strascinarsi sull’asfalto con le forze residue per recuperare la scarpa perduta, e addirittura memorabile in Ragazze in fiore come papà impiegato alla Poste che, al cinema, si fa attirare alla toilette da una ragazza che in realtà punta solo al suo portafogli. L’episodio più cattivo è invece quello della seduta psicanalitica a cui un Bisio povero marito depresso si sottopone nello studio della grande specialista di turno, col volto di Angela Finocchiaro: specialista, che in realtà si era già messa d’accordo con la moglie di quello, per cucinargli una diagnosi che lo induca al suicidio (Terapia d’urto). Per il resto, Bisio, come Abatantuono, appare piuttosto convenzionale; meglio Buccirosso, che è sempre una garanzia, anche se non oltrepassa mai i limiti del buon caratterista, e anche la Ferilli è sempre la solita generosa Ferilli, non solo di forme: è visibile, anzi, la sua volontà di applicarsi virzianamente ad una gamma neorealista di soggetti che dipingono l’”italiana media” di oggi, in bilico tra opportunità di cronanca, difficoltà quotidiane e frizioni coniugali. Una delle sue donne condivide la parentesi lirica di Neri Marcorè, nella ministoria dedicata alla felicità dei sognatori a basso reddito, Euro più euro meno.
I richiami al capostipite del 1963 non sono certo pochi: Unico grande amore riecheggia il finale spregevolmente fulminante di Che vitaccia, Padri e figli ridefinisce il triangolo di Come un padre nei termini del rapporto padre-figlio e vi innesta la tematica attuale dell’omosessualità, e Razza superiore si ispira vagamente a Presa per la vita. Nel Panariello bagnino non si può non rivedere, poi, il volto di qualche Tognazzi dolente.
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Da una trama come questa nella commedia italiana anni ’50 si sarebbe ricavato un film a episodi. Adesso invece la tendenza è quella dell’affresco corale (il prototipo del genere sembra essere La cena di Ettore Scola), dove i personaggi di storie parallele finiscono per incrociare le loro vicende. E vediamole più nel dettaglio, queste storie: abbiamo il gestore di una catena di locali notturni (Salemme) e la moglie, patita di sedute dall’estetista (Brilli), che stanno per separarsi ma nessuno dei due vuole l’affidamento dei figli, che ad entrambi appaiono dei “marziani”; il pretore dall’aria composta (Orlando), che segue il caso dei due di prima ma che nel privato non sta certo meglio di loro (con la Signoris); il chirurgo (De Luigi) fidanzato con la ex del poliziotto (Gassman), che proprio non riesce a sopportare che lei lo abbia lasciato, e comincia a minacciare quello fisicamente e psicologicamente perché non lo veda più; due giovani esperti di relazioni internazionali (uno dei due è la Capotondi), protagonisti dell’unica sottostoria non matrimoniale del film, che inaspettatamente si riuniscono dopo aver fatto, ognuno per suo conto, il giro del mondo in cerca dell’altro; ed infine, i due “fronti narrativi” che ci sembrano meglio costruiti. Parliamo dello sfavillante triangolo “prematrimoniale” costituito dall’ussoriducendo (Tognazzi), dalla pronubenda (Gerini), e dal sacerdote che dovrà sposarli (Insinna), tra l’altro ex della futura sposa, che si muove con agilità entro gli schemi della migliore commedia dell’arte all’italiana (e c’è anche lo spazio per una lussuosa caratterizzazione di Montesano); e della tragedia di un professore di psicologia (Bisio), che si sente comunicare per telefonino, mentre è immerso in un rito libidinoso con la sua amante, che la moglie, da cui è separato da otto anni (Elena Sofia Ricci), è morta in un incidente stradale. E’ qui che il film esplora il versante dell’essere più tragicamente “ex”, quando la perdita dell’altro che si ama non è temporanea, o recuperabile, ma definitiva e irreversibile. E la desolazione nell’animo di quest’ex è talmente insostenibile che proprio il dolore finisce per fare forza, o piacere, diventando lirica memoria, o disperato promemoria, delle opportunità sprecate e del tempo perduto.