“Provate a pensarci: in genere siamo più propensi alle parole volgari quando siamo stressati o molto arrabbiati. Cioè quando, in pratica, siamo deboli, molto deboli, e non siamo padroni di noi stessi. La parolaccia è l’effetto, non la causa; responsabile del nostro eloquio è, naturalmente, lo stato emotivo che attraversiamo in quel momento.
Eppure la sfida non è eliminare lo stato emotivo per rimuovere, automaticamente, il pericolo di abbandonarci a parole sconce o sgradevoli. Non esiste una ricetta per eliminare del tutto i sentimenti di rabbia e di frustrazione dall’animo umano: purtroppo sono connaturati all’essere umano, e, per quanto si possa essere tenaci nel praticare l’arte della serenità, un momento di debolezza, nella vita, capita sempre. Anzi, più di uno, ad essere sinceri: ragion per cui bisogna accettare la rabbia e il nervosismo, e cercare di limitarli il più possibile. I modi esistono, e uno di essi è proprio operare sul tipo di linguaggio che potrebbe far esprimere quel tipo di sentimento. Un sentimento perdente: è sempre utile sottolinearlo.
Fermo restando, dunque, che quando siamo calmi, padroni di noi stessi, al massimo della nostra vigoria intellettuale, non c’è assolutamente alcun motivo per usare parole volgari(neanche per scherzo o per cercare di essere brillanti), la sfida è affrontare i momenti di ira con parole non volgari. In fondo, quando, in preda ai nervi, diciamo qualcosa di maleducato, non facciamo altro che sfogarci dicendoci qualcosa di forte, e che possa far presa anche su chi, eventualmente, ci ascolta. Dobbiamo partire da questa consapevolezza: non possiamo sostituire parole forti, violente, con parole meno forti, più mosce, e, perché no, anche più impotenti. Esprimere il nostro nervosismo è un po’ come vomitare: e non si può vomitare una volta con più leggerezza rispetto ad un’altra. No, si vomita sempre con grande sofferenza, che si sia in preda ad un virus influenzale o ad un grave stato di scombussolamento dell’intestino. In fondo le parole volgari, quelle che usiamo più comunemente, sono quasi tutte riferimenti specifici ad un certo ambito, e purtroppo nessuna parola neutra, generica, vince nel confronto con un riferimento specifico. È necessario quindi lottare sullo stesso terreno.
Facciamo una piccola tabella delle parole sporche che usiamo più comunemente.
Cazzo
Stronzo
Coglione
Vaffanculo
Minchione
Ce ne sono molte altre, naturalmente, oltre ad infinite locuzioni ed espressioni fraseologiche. Sono il frutto della nostra incapacità di connetterci con un linguaggio più appropriato e più degno, nei momenti di black out mentale. La cosa peggiore, però, è che sono state ormai largamente sdoganate nell’eloquio comune, al punto da far sembrare gagliardo, simpatico, sicuro di sé il ragazzo/la ragazza o l’uomo/la donna che le usa. Ma non si disdegna neppure di utilizzarle come intercalari nella vita comunicativa di ogni istante: per strada, al cellulare, nei rapporti amicali. Passi, al limite, allo stadio, nei postriboli o nei teatri di avanspettacolo, dove certi riti collettivi spersonalizzano inevitabilmente un po’, ma si tratta dell’eccezione. Il problema è che sta diventando la regola: tanto, potrebbe dire qualcuno (più di uno), ormai sono addirittura sul vocabolario! Be’, bisogna dirlo chiaramente: tutto questo è sbagliato! Ma come, è sbagliato che siano registrate sul vocabolario? Sì, esatto, bisogna proprio affermare questo. Perché non sta scritto da nessuna parte che un vocabolario serve a dare un quadro di completezza della lingua viva. Un vocabolario non è un censimento fatto da un antropo-linguista, ma una bussola che serve ad orientare su che cosa si deve dire e che cosa non si deve dire: ed è proprio quello che c’è nel vocabolario, rispetto a quello che non c’è, a fare la differenza. Ma se vi si trova tutto, come in un grande magazzino di qualità medio-bassa, il vocabolario tradisce la sua missione, e disorienta il parlante.”
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