Da quando la storia è diventata una scienza vera e propria, spesso si dice che il racconto dei fatti (intendiamo i fatti del presente, naturalmente, oppure di un’epoca attuale) è delegato all’informazione. I giornalisti, in quest’ottica, sarebbero i veri discendenti dei rerum scriptores, la denominazione classica degli storici e storiografi. Eppure c’è differenza tra storiografia e giornalismo. Innanzitutto cambia la percezione del pubblico: il giornalista racconta e commenta per il pubblico di una data epoca, ossia per quella in cui egli stesso vive ed opera; lo storico, invece, oltre a scrivere per i lettori del suo tempo, si sforza anche di scrivere per la posterità. Ciò significa che il lavoro dello storico potrebbe anche essere quello, ad esempio, di includere nella sua narrazione gli articoli di tanti giornalisti, che diventano automaticamente fonti. Fonte, infatti, è precisamente quel materiale o quel documento che è utile alla comprensione di un’epoca ma non avrebbe sbocchi al di fuori di quell’epoca, fino a quando non viene riproposto da qualcun altro alla comprensione e alla fruizione critica del pubblico di un’altra epoca. In fondo il concetto di fonte è alla base della distinzione tra storico minore e storico classico: il primo è sempre o quasi sempre un cronista, che si occupa di fare un resoconto dettagliato dei fatti che ha vissuto, come testimone diretto o indiretto; il secondo è chi integra le testimonianze di uno o più cronisti in un disegno narrativo più generale e complesso. La seconda differenza che c’è tra giornalista e storico si basa sulla natura stessa di quella che chiamiamo informazione. L’informazione è racconto di fatti reali, e prodotti dall’uomo; fin qui, si tratta della stessa materia che interessa anche allo storico. Solo che la realtà al centro dell’interesse del giornalista non fa distinzioni tra il solenne, l’epocale e il quotidiano: per il giornalista è materia di racconto tanto il grande conflitto e la grande rivoluzione quanto il delitto di cronaca o il piccolo fatto di colore locale o l’evento sportivo o lo spettacolo di teatro. Per lo storico, invece, esiste una selezione a monte. Bisogna considerare che in origine lo storico si considerava il successore in prosa del grande poeta epico. Quindi la sua missione era quella di scegliere un grande evento o una serie di grandi eventi, di proporzioni e conseguenze colossali, e che garantisse una linea narrativa non in difformità con il perimetro stabilito dall’epica: dei, eroi, armi e amori. Chiaramente, poi, la storiografia ha la necessità di sostituire i termini di questo perimetro originario con altri termini, in continuità sostanziale: gli dei sono le cause remote o immediate, fattori imperscrutabili e potentissimi, oppure il fato, la fortuna; gli eroi sono i sovrani, i leader politici, i condottieri, i rivoluzionari; le armi sono le guerre, come somme di tante battaglie e tante spedizioni (in effetti la storiografia classica è storiografia di guerre); gli amori sono, in senso lato, le passioni dovute alle bramosie di potere, le ambizioni di grandezza e di conquista, cioè tutti i sentimenti di grande intensità, nel bene e nel male, che animano gli eroi, e che possono essere con-cause se non addirittura vere e proprie cause degli eventi (si torna in un certo senso al discorso degli dei: non si può non considerare , infatti, che, in antico, quei sentimenti e quelle emozioni erano ritenuti ispirati da divinità).
https://www.youtube.com/watch?v=0CiF1OTo7Ow&feature=youtu.be