Solitamente suddividiamo la storia in quattro grandi ere: l’era antica, dalla fine della preistoria fino alla caduta dell’Impero romano d’Occidente, avvenuta nel 476 d.C.; l’era medievale, dal 476 al 1453, anno della caduta dell’impero bizantino; l’ era moderna, dal 1453 al 1815, anno in cui si concluse il Congresso di Vienna; e infine l’era contemporanea, quella che dal 1815 dura ancora oggi. In fondo, però se ci si pensa, di queste quattro ere quelle davvero fondamentali sono due: quella antica e quella moderna. Il Medioevo e l’età contemporanea sono età postulate. In particolare, il Medioevo è un ponte che serve a distanziare l’antichità dalla modernità, altrimenti non si potrebbe passare direttamente dall’una all’altra; l’età contemporanea, invece, è un’età più che moderna allungata all’infinito. Senza scadere nella filosofia, la prima osservazione che si può fare è che abbiamo un’epoca ormai ampiamente circoscritta, cioè l’antichità, e una che non è possibile circoscrivere, cioè la modernità. Quindi, al di là delle classificazioni manualistiche, la distinzione è tra tutto ciò che è ben delimitato nei suoi termini temporali (l’antichità) e ciò che non ha ancora termini o confini temporali precisi (la modernità). Man mano che il campo temporale dell’antichità si allunga, in realtà esso non toglie terreno alla modernità: essa per tutta risposta si allunga di pari passo. Per la teoria della storia, dunque, l’unica suddivisione della storia che conta è quella tra archeo-storia e ceno-storia, i cui confini non sono mai fissati una volta per sempre; si accrescono, invece, vicendevolmente.