Definizione di curiosità

Uno dei più classici esempi di pseudo-etimologia è il far derivare la parola “curiosità” da cur, perché; l’etimologia accettata è quella che vede piuttosto nella parola cura  l’origine di “curiosità”, e poi, diciamocelo, una curiosità, in quanto nozione, non risponde ad un perché (risponde invece al perché se è una predisposizione ad interessarsi all’essenza delle cose, ma è un tipo di curiosità che non prendiamo in considerazione qui).
Non sembra, infatti, però anche la curiosità è una nozione. Lo è nel senso che si tratta pur sempre di una conoscenza basata su un dato preciso, che si regge sulle domande chi/cosa?, dove?, quando? o quanto? Rispetto alla nozione più “seria”, però, la differenza è che il suo contenuto in genere è molto più leggero, ameno, e in sostanza secondario. Lo svantaggio è che un bagaglio di conoscenze fatto soprattutto di curiosità non viene mai preso troppo sul serio, come se non fosse della migliore qualità, e spesso viene bollato come erudizione d’accatto; il vantaggio, invece, è che, tra tutte le nozioni, la curiosità è certamente quella che, per la sua particolare natura, si apprende e si memorizza meglio.
In che cosa consiste il contenuto ameno della curiosità? Una curiosità può essere sostanzialmente una nozione aneddotica o una nozione-gioco. Nel primo caso si tratta, essenzialmente, di un aneddoto, quindi di un tratto particolare (spesso un retroscena divertente) della vita o dell’opera di un grande protagonista della storia. Sono esempi di curiosità-aneddoto nozioni come “Caligola non sapeva nuotare”, “Augusto amava il formaggio vaccino”, “Leopardi era goloso di gelati” ecc. Nel secondo caso si tratta invece di una conoscenza aliena da ogni campo di studio accademico o tecnico o professionale: si tratta, dunque, della conoscenza di luoghi, nomi e cifre del cosiddetto “mondo della ricreazione” (fumetti, cartoons, telefilm, film, videogames, figurine, sport eccetera). Questa conoscenza (se si vuole, anche, questa cultura) simula in tutto e per tutto la conoscenza cosiddetta seria, costituita dalle materie convenzionalmente accettate come formative. La differenza tra le due, però, sta nel canale e nella modalità di apprendimento: lo studio, che è indispensabile nella conoscenza che chiamiamo formativa, mentre è praticamente inesistente nella conoscenza ricreativa.
Uno dei pilastri concettuali della nostra società è l’antitesi tra studio e lavoro: sembrerebbe che lo studio sia una lunga fase preparatoria al lavoro, eppure lo studio è già di per se stesso lavoro, quindi applicazione, sacrificio, dedizione,concentrazione mentale. Lo studio non è in opposizione al lavoro, anzi lo ingloba (chi sceglie di studiare anziché buttarsi direttamente nel lavoro in realtà sceglie di fare qualcosa che poi continuerà, in forme diverse, nel lavoro); la verità è che, esattamente come il lavoro, lo studio è in antitesi solo al gioco e allo svago. Ci si può approcciare con animo  giocoso al proprio studio o al proprio lavoro (specialmente quando un lavoro diventa la vocazione della propria vita) ma né l’uno né l’altro sono un gioco. Apprendere attraverso lo studio, dunque, da qualunque punto di vista lo si guardi, significa semplicemente lavorare. La buona notizia (se così si può dire) è però questa: l’apprendimento non deriva solo dallo studio, ma anche  dalla sua antitesi, lo svago (e quindi il gioco). E la conoscenza prodotta dall’esercizio dello svago (che può essere metodico proprio come lo studio, ma con una disposizione d’animo completamente diversa) è proprio quella che chiamiamo curiosità.      


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