Tutto si può dire de L’ultima tentazione di Cristo, tranne che reinterpreti radicalmente la figura di Gesù sulla base della sua natura sensuale; il film, anzi, procede secondo una narrazione ortodossamente evangelica (con qualche minimalismo paesaggistico e negli ambienti che richiama il Rossellini del Messia), che nel finale si concede una variante conclusiva ipotetica, puramente onirica, proiettandosi in uno scenario parallelo che lascia intravvedere quello che sarebbe stato il futuro di Gesù, e della fede da lui fondata, se questi si fosse sottratto alla morte, scendendo dalla croce: ma è soltanto un incubo, vissuto nei tormenti dell’agonia. Gesù è ormai così maturo per essere il Cristo e per sacrificarsi per gli uomini che arriva addirittura ad immaginare e a superare nella sua coscienza l’ultima “prova del deserto”, la più terribile: la tentazione di rinunziare al destino al quale si è stati chiamati in cambio di una famiglia da amare e di una vecchiaia tranquilla. Non che la viva realmente, quest’ esperienza di completamento, ma se la prefigura molto realisticamente, nelle sue prospettive e nelle sue conseguenze: e la felicità del figlio dell’uomo che torna ad essere Dio sta nel ritrovarsi gloriosamente morente, in croce, consumato dal caldo del Golgota, a gridare con un ghigno liberatorio che “Tutto è compiuto”. E’ questo il sacrificio che l’umanità si aspettava dal Messia, la sua missione da compiere, quella di cui Giuda, il cui ruolo e la cui figura Scorsese rilegge in modo rivoluzionario, si fa garante sin dal’inizio nei confronti di Dio e del mondo.